Sono sempre stato convinto che le nostre passioni, i nostri interessi, le nostre curiosità siano dettate in parte da attitudine naturale (propensione ad occuparci di certe cose piuttosto che di altre) e in parte dai maestri che abbiamo avuto. In famiglia, a scuola, nella vita. Al di là quindi del Dna che ci siamo ritrovati dentro, figlio anche della combinazione tra le X e le Y dei nostri genitori, il fattore che ha determinato la cifra delle nostre passioni è stato costruito sugli incontri con altri esseri umani durante il nostro percorso formativo. Prima i genitori, poi i parenti più stretti, poi i maestri e i professori, a scuola e nella vita.
Su queste premesse, condivisibili o meno che siano, ho passato una grande parte della mia esistenza non amando la filosofia. Tenendomene quasi lontano. In una sorta di vergogna mista ad ignoranza e di noia per non conoscenza. Ho sempre addebitato questo grave deficit (perché abbiamo sempre bisogno di individuare un responsabile, o al massimo corresponsabile dei nostri difetti o delle nostre malefatte!) ai miei maestri del periodo scolastico. Me l’hanno spiegata poco e male. Forse con scarsa passione, con poco entusiasmo, con un linguaggio ermetico, poco divulgativo. Scientificamente, magari, ineccepibile, ma senza trasferimento empatico di conoscenza e senza stimoli per interessarmi alla materia. Ricordo ancora la noia, la fatica, la lontananza psicologica durante le lezioni di filosofia al liceo. Un peccato, una grande opportunità persa!
Già, ma me ne sono reso conto più tardi, molti anni dopo, scoprendo che mi interessavano le dinamiche dello stare insieme delle comunità degli umani. E che quella curiosità che scatenava approfondimenti ed analisi non era altro che il cercare di capire la realtà e i razionali o gli irrazionali che guidano le scelte degli esseri umani nelle loro vite.
L’ho fatta lunga, lo so, ma il tema non è né personale né marginale. Volevo contestualizzarvi il perché di questo contributo sull’importanza della filosofia.
Viviamo tempi in cui la concitata connessione permanente con il mondo del web e la conseguente, nevrotica, ansia quotidiana del tempo che passa e del nostro continuo ritardo e inadeguatezza a stargli dietro, ci costringono a pensare di meno. A relegare il pensiero, la riflessione, la voglia di astrarci per un momento dal caos del presentismo, in un angolo dimenticato del nostro cervello, arrecandoci in tal modo un danno esistenziale e culturale enorme.
Il “fare” può essere un valore rispetto al “non fare”. Ma “il fare” senza pensare è un grande rischio. Una sfida a perdere rispetto alla visione del futuro, al miglioramento delle nostre vite, ad una miglior coesione sociale ed etica, al cercare di guardare un po’ più in là rispetto alla punta delle nostre scarpe.
Il disagio che ci assale e ci perseguita di fronte ad un contesto politico e sociale che non ci piace e che vorremmo cambiare ma non sappiamo come, deriva anche, ad avviso di Pickett, da un deficit di pensiero, di visione, di lucido allargamento e allungamento degli orizzonti del nostro ragionare.
Abbiamo bisogno di ritornare ai fondamentali. Alle aste del nostro stare insieme globale.
Non a caso, evidentemente, i tre maggiori quotidiani italiani, prima il Corriere della Sera e poi in questi giorni La Repubblica e La Stampa, hanno iniziato a pubblicare, in abbinamento al giornale cartaceo, delle collane di volumi incentrate sulla riscoperta della filosofia, sui fondamenti della conoscenza. Una rivisitazione dei classici dai greci in avanti, per offrire a noi smarriti e ignoranti abitanti di questo pianeta nel caos, punti di riferimento più certi, più sicuri, più rassicuranti.
Ognuno di noi sceglierà poi il “faro” più vicino al suo sentire ma, in ogni caso, faremo tutti uno sforzo per cercare di uscire dal deserto culturale che rischia di omologare tutti noi al ribasso.
E allora, con l’aiuto di Mauro Bonazzi autore della presentazione della collana “Filosofia, Storia, parole, temi” del Corriere della Sera (22 volumi di cui 15 in uscita fino al prossimo dicembre), Pickett ha provato ad approfondire l’argomento partendo dalla domanda più semplice, più banale ma anche decisiva: che cos’è la filosofia?
Una delle prime occasioni di incontro con questo termine si trova – ci ricorda Bonazzi – negli scritti di Erodoto quando parla del poeta Solone e dei suoi viaggi che aveva compiuto alla scoperta del mondo, in quel momento storico limitato ai confini del Mar Mediterraneo. Per questo motivo Erodoto lo chiama Philosophos.
Per Pericle Philosophoi erano addirittura tutti gli ateniesi sempre pronti ad andare a teatro e sempre curiosi di ogni novità.
Per Eraclito – sempre nella ricostruzione storica del termine, scritta da Bonazzi – il termine era quasi usato come un insulto: Philosophoi sono quelli che si perdono dietro al vano desiderio di erudizione e non capiscono le poche cose che contano. Il paradosso è che proprio uno dei primi filosofi rifiutò con sdegno la parola che invece altri erano ben contenti di utilizzare quasi vantandosene.
Ma cosa significa il termine Philosophia?
La risposta è apparentemente semplice: un desiderio, un amore (Philo -) per il sapere e la conoscenza (sophia). Essendo l’uomo un animale razionale è evidente che il cervello, la conoscenza e il sapere siano importanti per la sua vita. Il tema aperto rimane quello che la nostra conoscenza è molto più limitata rispetto al nostro pensiero. Philosophia è dunque il desiderio di saperne di più.
Normalmente il desiderio coincide con quello che non si ha e infatti su questo punto importante non sappiamo quasi mai nulla: chi siamo? Da dove veniamo e dove andiamo? Che cosa è la giustizia: esiste o è una semplice convenzione? È Dio o l’amore?
Secondo Bonazzi non si tratta di problemi “astratti e polverosi come spiega Socrate a Trasimaco. Se non sappiamo cosa è bene e cosa è male è difficile pensare di poter vivere felicemente. Ancora peggio: se crediamo di sapere e invece non sappiamo, se crediamo che sia bene qualcosa che è male, l’infelicità è assicurata”. Non ci rimane dunque che riflettere e ragionare liberandoci delle convinzioni infondate e selezionando davvero ciò che è importante.
L’ambizione della filosofia è imparare, è insegnare a pensare bene per vivere bene. Il compito è talmente difficile che a volte subentra la frustrazione di girare a vuoto con discussioni inconcludenti. Bonazzi ci ricorda che fin dai tempi di Platone l’obiezione è sempre stata la stessa: “Filosofare non serve a nulla”.
Proprio qui sta la grandezza della filosofia: “Non serve a nulla – ci tiene a precisare Bonazzi – perché non è un sapere servile, perché non si piega alla realtà accettandola come viene presentata: la mette in discussione pensando a nuove soluzioni e alternative, ricordandoci che le cose potrebbero andare diversamente da come vanno e magari pure meglio. Senza però, e questo è il punto più importante, voler imporre nulla a nessuno”.
Socrate interrogava le persone che incontrava mettendone alla prova il sapere e cercando di liberarle dai pregiudizi. “Ma non si pretendeva in possesso di alcune verità: sapeva di non sapere. Criticava senza offrire risposte definite. Aiutava gli interlocutori a mettere a fuoco i problemi e le domande; invitava a pensare, riflettere, ragionare. Ognuno poi, ciascuno singolarmente preso e ogni generazione nel suo insieme, avrebbe dovuto trovare la propria risposta”.
E questa è la sfida più bella che sarebbe un peccato non accettare.
Secondo Bonazzi bisogna però cercare di evitare un errore decisivo. Tutti siamo filosofi perché i problemi della filosofia sono i problemi di tutti. Dobbiamo però cercare di imparare il metodo di filosofare, vale a dire di ragionare: e questo è molto meno semplice di quanto non si possa credere.
“Per ragionare bene bisogna prima comprendere – conclude Bonazzi – di che cosa si discute, quali sono le vere questioni e come possono essere affrontate. A questo servono manuali, dizionari e storie quando sono fatti bene”.
Ed è proprio per questo motivo che vale ancora la pena dedicarsi alle letture, o meglio riletture, dei grandi della storia filosofica greca: Eraclito, Platone, Aristotele, Epicuro con le loro idee originali, a volte “strampalate” ma sempre appassionanti.
Secondo Bonazzi della filosofia non si può fare a meno, come spiegava Aristotele: “Chi pensa che sia necessaria la filosofia farà filosofia; e chi pensa che non sia necessaria, dovrà comunque filosofare per dimostrare che non si deve filosofare: dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui dando l’addio alla vita, perché tutte le altre cose sono solo chiacchiere e vaniloqui”.
Una confessione finale dopo aver immagazzinato i suggerimenti e gli stimoli di Bonazzi: quanto mi dispiace non aver avuto un bravo maestro di filosofia nel mio periodo di formazione scolastica!
A fronte di questo rimpianto, mi soccorre la lettura, in questi giorni, di un libro freschissimo di stampa. Si intitola “Uomo: scimmia assassina? Storia prossima dell’umanità” e lo ha scritto un amico di Pickett, Giuseppe Floridia, professore di Economia e Commercio all’Università di Torino e autorevole e stimato professionista-aziendalista. Beppe nella sua ultima opera ci dimostra come possiamo tutti, anche quelli che non si sono mai appassionati di filosofia, provare a ragionare in un modo nuovo, con un metodo diverso e con una “open mind” visionaria. Affronta il tema del come gli esseri umani di questo terzo millennio stiano facendo di tutto per autodistruggersi. Come arginarli o come provare a difenderci dal loro istinto “omicida”? “È opportuno che si cerchino nuove regole di convivenza per poterci definire realmente umani. Fermarli si può!”.
Dunque una analisi spietata sugli istinti animaleschi dell’essere umano, ma alla fine chiosata con un grido di speranza.
Grazie Beppe per il tuo contributo che ci impone un’approfondita riflessione sul come siamo diventati e un grande stimolo a non fermarci al presentismo dirompente ma pensare al domani e alla responsabilità che abbiamo nei confronti delle nuove generazioni.
Insomma un libro che ci impone di “filosofare” di più.