Pickett per la prima … e vi assicuro per l’ultima volta, ha deciso di socializzarvi un’emozione privata. Un pezzo di storia della sua famiglia correlata a un momento tragico della storia contemporanea del nostro paese. L’occasione è stata quella di fare incontrare, per la prima volta nella loro vita, due figlie di due “eroi” dei nostri alpini in Russia nel 1942/1943. Oltre settant’anni dopo quelle vicende, che permisero soltanto ad uno dei due protagonisti di tornare a casa a riabbracciare le proprie famiglie, Maria Vittoria e Rosanna si sono incontrate, conosciute e hanno potuto finalmente ricordare insieme i loro padri. Pickett è stato il cronista di quell’incontro e ha cercato di raccontarlo, con il cuore denso di commozioni ma anche di orgoglio famigliare: uno dei due eroi era Domenico Rossotto, il “mitico” Colonello Verdotti delle centomila gavette di ghiaccio di Giulio Bedeschi.
Gennaio 1943, Nowo Georgewskij: il trentaduenne sergente maggiore del 3° Regimento Artiglieria Alpina della Divisione Julia, Luigi Pasianotto sente che la morsa dell’accerchiamento russo si sta stringendo irreversibilmente intorno ai suoi “bocia”. Al Corpo d’Armata alpino è stata ordinata la ritirata. Bisogna lasciare le sponde del Don e iniziare il percorso alla rovescia. E’ incominciata la tragedia dell’Armir! Inutile resistere ad oltranza facendosi massacrare inutilmente dalle divisioni corazzate russe. Meglio proseguire nella tattica adottata da “papà” Rossotto, il comandante del gruppo Conegliano, il tenente colonnello Domenico Rossotto. Ritirate strategiche a gruppi con ripiegamenti differenziati per sottrarsi alla cattura, disimpegnandosi e ricongiungendosi con il grosso del reparto. Nel caos di una ritirata scomposta in cui gli ordini arrivano saltuari e spesso in contraddizione tra di loro, conservare, a meno 50 gradi di temperatura e con il vettovagliamento razionato, un minimo di lucidità è di pochi. Bisogna sfilarsi e qualcuno deve rimanere sulla mitragliatrice a coprire gli altri. Non ci sono dubbi su chi sia il delegato al compito decisivo per la salvezza e sopravvivenza del reparto. Pasianotto, con l’adrenalina a mille ma con la responsabilità di essere un riferimento per i suoi, fa un gesto con la mano, quasi congelata, ai suoi “bocia” per il disimpegno e rimane sul pezzo cercando di concentrare i colpi della sua mitragliatrice pesante sul nemico. Ha di fronte una steppa sconfinata, subdola, che protegge i soldati russi e li porta, invisibili, fino a ridosso dei nostri alpini. Bisogna cercare di tenerli lontani almeno fino al completamento della manovra di sganciamento. Pasianotto fissa la coltre bianca davanti a sé: ogni tanto vede un bagliore rosso e sente il colpo dei cannoni con i proiettili che gli arrivano sempre più vicino. Spara una serie di raffiche. Spera di aver fatto centro. Ormai sente il nemico vicino, silenzioso, attento, pronto all’attacco fatale su un terreno che conosce bene e dove si muove come a casa sua. I secondi trascorrono lentamente: il silenzio scansionato dai mortai russi e dalla mitragliatrice del nostro alpino sembra non passare mai. La scena appare nello stesso tempo tragica e magica. Pasianotto si gira, guarda se i compagni si sono ricongiunti al comando. Sì, ce l’hanno fatta, ancora una volta i suoi “bocia” sono di nuovo tutti insieme in ordine, pronti ad un nuovo confronto. Sorride, pensa al suo comandate: è riuscito, ancora una volta, ad eseguire alla perfezione i suoi ordini e questo lo riempie di orgoglio. Un’altra trappola è stata superata. “Rossotto ha ragione – pensa soddisfatto tra sé e sé – ce la faremo; sì, riusciremo a superare questo inferno e a ritornare a casa dai nostri cari, dalle nostre famiglie”. Si alza in piedi, prova a ripercorrere il tragitto lasciato dalle orme dei suoi compagni. Una raffica russa all’improvviso lo colpisce in pieno. Muore sul colpo, accasciandosi su quella mitragliatrice che è stata la sua ultima compagna di vita. La ricostruzione degli ultimi momenti della vita del Sergente Maggiore non è univoca. Anche sulla data della morte c’è incertezza tra il 20 e il 22 gennaio di quel infernale inizio anno per la Julia. La motivazione della medaglia d’argento ci offre uno spaccato diverso da quello che vi abbiamo appena raccontato: “Sottoufficiale di provato valore già distintosi sul fronte greco. Durante un accanito attacco di soverchianti forze nemiche appoggiate da mezzi corazzati, alla testa di pochi uomini contrassaltava alla baionetta nuclei di fanteria contribuendo a stabilire la sicurezza della popolazione. Ferito, non abbandonava il posto di combattimento e, mentre continuava ad incitare alla lotta i suoi uomini, una nuova raffica di mitragliatrice stroncava la sua giovane esistenza. Russia, 20 Gennaio 1943”. Abbiamo deciso di riportarle entrambe le ricostruzioni (quella dello Stato Maggiore e quella fornitaci, nel dopoguerra, da alcuni dei compagni di reparto del nostro Sergente Maggiore). Dimostrano infatti, comunque, il ruolo, il coraggio e l’abnegazione di uomini, di alpini, come Luigi Pasianotto che hanno saputo onorare la divisa che portavano anche se mandati allo sbaraglio in un’impresa compromessa fin dalla sua ideazione. Dicembre 2016, Milano, vigilia di Natale. Sono passati 73 anni da quegli eventi e in un ristorante in centro si incontrano, per la prima volta nelle loro vite, due signore di una certa età ma con uno spirito, una determinazione negli occhi e un orgoglio identitario commovente. Si chiamano Maria Vittoria Rossotto e Rosanna Pasianotto: sono proprio loro, le figlie dei due protagonisti della storia che stiamo raccontandovi. Grazie ad un comune amico di famiglia, Alberto Forchielli, anch’egli figlio di “uno” della Tridentina, uno degli eroi dell’Armir, e alla sua straordinaria capacità di fare rete, di far muovere “insieme” le persone, le due signore hanno potuto prima parlarsi al telefono e poi finalmente vedersi, cominciare a conoscersi, abbracciarsi, sempre e soprattutto per ricordare i loro due indimenticabili papà, divenuti di fatto e affettivamente “membri” delle reciproche famiglie. Guardandole sedute vicine, una di fianco all’altra, sembra di rivedere i visi, le espressioni dei due papà: lo sguardo degli occhi, i tratti somatici ingentiliti al femminile, sono quelli di Domenico e di Luigi. Si ritorna, tutti insieme, a quei giorni di oltre 70 anni fa. Si ricostruiscono episodi, aneddoti, testimonianze raccolte “da chi è tornato” o “da chi c’era”, sofferenze e nostalgie: fatti che hanno legato in un “fil rouge” ormai indistruttibile due uomini di valore e due belle, sane e normali famiglie italiane. Ne abbiamo scelti due di quegli episodi, quelli che ci sembrano più emblematici per ricordare il colonnello Rossotto e il sergente maggiore Pasianotto e il loro straordinario rapporto personale e professionale. 1. “Vengo con Voi!”: Luigi Pasianotto, dopo la campagna di Grecia dove è stato ferito e catturato dal nemico, è potuto finalmente rientrare in Italia. La prigionia lo ha segnato e sogna di coronare un suo vecchio progetto lasciato nel cassetto con la chiamata alle armi. Gli piacerebbe fare il corso da marconista, a Roma, in modo tale da prendersi un meritato riposo e nello stesso tempo imparare un mestiere di cui si sente portato. Grazie all’interessamento del suo comandante, il tenente colonnello Domenico Rossotto, un bel giorno riceve la cartolina tanto auspicata. Gli si comunica il trasferimento nella capitale per prendere servizio nel gruppo trasmissioni del comando centrale. Si stappano bottiglie, si brinda alla nuova destinazione e, in un riserbo tipicamente friulano, anche ad un… evitato ritorno al fronte in un momento militarmente segnato da sconfitte e tragici massacri. In più Luigi immagina, una volta diplomato, di poter tornare a Osoppo, nelle sue valli, tra i suoi alpini. Ma sorge un problema! Il 3° Alpini viene mandato in Russia all’interno della riorganizzazione dell’Ottava Armata, irrobustita dopo l’esperienza del primo anno del Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR). Destinazione Caucaso, la zona cruciale delle materie prime pregiate fondamentali per la continuazione della guerra in Italia e Germania. Le perplessità sono enormi, il livello di efficienza di molti reparti è scarso: ma gli ordini devono essere eseguiti non discussi. Luigi, saputa la notizia, decide di prendere carta e penna e di scrivere al suo comandante. E’ una lettera struggente che, conoscendo il finale della storia, lascia un senso di commozione e di smarrimento. Luigi ha scelto di rinunciare al suo tranquillo sogno romano, dietro una scrivania a imparare un mestiere, per tornare con i suoi compagni, pronto ad una nuova sfida, che, come sappiamo, gli sarà fatale, con il suo “Papà’” Rossotto. Lo spirito identitario ha prevalso sull’egoismo della propria incolumità. Un atto di coraggio, un comportamento che vale quella medaglia d’argento che gli sarebbe stata poi conferita post mortem. La lettera di Luigi a Domenico andrebbe letta nelle scuole italiane per socializzarne le motivazioni, il contenuto, il contesto, gli obbiettivi, l’altezza morale dei protagonisti. La riportiamo in calce a questo ricordo perché rimanga scolpita nelle menti di ciascuno di noi alle prese con un’attualità mediocre e scomposta, senza quei valori che animavano gli spiriti come Luigi. 2. Il legame con “Papà” Rossotto: quando si parla di leadership, di carisma, delle caratteristiche di un capo o, meglio, di quelle che dovrebbe avere un capo, si cerca di descrivere una situazione psicologica, tipica del mondo militare quando un ufficiale si conquista sul campo, non a parole, la stima e la fiducia dei suoi uomini. Il tenente colonnello Domenico Rossotto, il mitico Verdotti nel libro Centomila Gavette di Ghiaccio di Giulio Bedeschi, nei ricordi, nelle lettere, nelle descrizioni di Luigi era proprio così: non solo il comandante coraggioso, professionale ,integerrimo alla guida del suo reparto, ma anche colui che si prende a cuore i problemi dei suoi “bocia”, “coccolandoli” anche nelle questioni private non di soldati ma di uomini lontani dai loro affetti, sradicati dalla vita normale a cui erano abituati. L’appellativo di “Papà” nasce proprio da quì, da questa vita vissuta insieme nel fango delle trincee, al freddo nelle postazioni di artiglieria, nelle isbe con la nostalgia di casa che ti assale e ti stringe lo stomaco, durante gli assalti quando la paura ti sembra congelarti i movimenti. “Con “Papà” Rossotto – diceva Luigi – ci sentiamo più sicuri, più motivati. In qualche modo ci avrebbe sicuramente riportato a casa! Aveva un grande senso del dovere, un’innata attitudine al comando, una straordinaria capacità di toglierci dai guai. Sentiva la responsabilità etica oltreché professionale di salvare e proteggere, per quanto possibile, le nostre vite, i nostri affetti, i nostri sentimenti”. Fiducia, rispetto e stima erano i valori coagulanti di Rossotto e dei suoi alpini: su questi temi è volato via il pranzo del reincontro tra Maria Vittoria e Rosanna, con figli e nipoti nel ruolo di testimoni commossi, emozionati, ammirati. Alberto Forchielli, l’innescatore dell’evento che, da Hong Kong, grazie ad internet e alla sua capacità di ascolto e valorizzazione delle sue conoscenze, può essere orgoglioso di avere dato vita a questa straordinaria opportunità di far sedere vicino due “grandi” donne che hanno portato avanti per tutta la loro vita il ricordo e la testimonianza di due grandi genitori. Due alpini fino all’osso, in tutti i sensi e senza Se e senza Ma, portatori di quei valori di professionalità, rigorosità, sobrietà e solidarietà che tanto ci mancano in questa confusa attualità che stiamo faticosamente vivendo. Grazie Alberto, grazie Rosanna, grazie Maria Vittoria. E’ stato un incontro fantastico e indimenticabile. Domenico Rossotto era ed è mio zio.
Link alla lettera di Luigi Pasianotto a Domenico Rossotto