Ho avuto la fortuna di ascoltare la lezione “magistrale” di Jacinda Ardern tenutasi all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Bologna sul tema “Leadership nell’era della crisi”.
Condividiamo tutti, credo, l’esistenza di un deficit di una leadership mondiale in questo “caldissimo 2024”.
Ebbene, Jacinda Ardern ti obbliga, con il suo entusiasmo, la sua passione, la sua autentica modestia di chi non smette mai di mettersi in gioco e vuole sempre imparare qualcosa di nuovo, ti obbliga, dicevo, a riflettere sul concetto e sul contenuto del termine leadership, soprattutto nei periodi di crisi come quello che stiamo vivendo.
A meditare sulla capacità di guidare piuttosto che governare le comunità che ci affidano tale mandato.
Dalle più intime e private, come naturalmente le comunità famigliari, a quelle più ampie e articolate come quelle scolastiche.
Dalle leadership della società civica, alla leadership della politica e della gestione dei Beni Comuni.
E’ stimolante e confortante seguire la sua narrazione in un momento come questo, buio, caratterizzato da una complessità difficile da comprendere e decodificare.
Dove il grande farmaco contro le paure, le rabbie e le frustrazioni, e cioè la speranza del futuro, in altre parole, fatica ad emergere, a farsi strada, a non apparire velleitaria o di pura apparenza.
Jacinda Ardern, oggi alla soglia dei 44 anni, è stata per cinque anni prima Ministra del suo Paese, la Nuova Zelanda, quell’isola che ci appare lontanissima e quasi, soltanto, un’invenzione letteraria ed è invece, in certi momenti della nostra storia patria, un Paese che ci ha aiutato, supportato e recentemente ci ha dato anche indicazioni, come in questo caso, sulla direzione da seguire.
Noi italiani non dobbiamo mai dimenticarci che siamo stati liberati dal nazi-fascismo anche dai soldati neozelandesi che, soprattutto a Trieste, nel maggio del 1945, ci protessero contro le ambizioni espansionistiche dei titini del maresciallo jugoslavo Josip Broz Tito.
Bene, la storia della carriera di Jacinda è relativamente semplice e lineare: ha iniziato a fare attività politica all’età di 17 anni, figlia di una famiglia di piccola borghesia locale con un padre poliziotto e una madre addetta alle mense scolastiche.
“Non avevo l’ambizione di diventare una leader politica – ha dichiarato la Ardern – e non mi sono mai vista come tale. Al contrario, ero quello che mio padre avrebbe definito una ‘hippie ambientalista’. Osservavo i problemi del mondo, le ingiustizie, la povertà, le disuguaglianze, il degrado ambientale e consideravo la politica come uno strumento per trovare le soluzioni di questi problemi”.
Quanti di noi, riflettevo, hanno pensato durante i “migliori anni della loro vita” le stesse cose, nutrito le stesse speranze: la sua vita professionale si snoda sugli entusiasmi giovanili di una cittadina che crede nel cambiamento e nella possibilità di attuarlo attraverso la politica “Bella”, quella virtuosa, alta, non contaminata dalle barriere partitiche.
“Mi sono iscritta al partito laburista e all’inizio più che cambiare il mondo, distribuivo volantini porta a porta. Alla fine mi sono ritrovata ad essere ricercatrice in Parlamento, consulente nell’ufficio del Primo Ministro, deputata e poi leader del mio partito. Tutto questo a sole sei settimane dalle elezioni, quando sono diventata, con mia grande sorpresa, Prima Ministra. Mi sono sentita come se fossi la rana metaforica in una pentola che bolle”.
Dopo 15 anni di vita parlamentare e governativa, non ha perso la speranza di considerare la politica “la gestione della Polis” come un fattore determinante e positivo per i cambiamenti anche di fronte a crisi complesse come quelle che stiamo vivendo.
Jacinda sostiene una tesi che da anni mi appartiene: “Nonostante l’attuale elevata collettività globale, percepiamo una mancanza di unità che rende difficile trovare un terreno comune. Come possiamo quindi affrontare le grandi sfide globali, se non riusciamo nemmeno a stabilire quale sia il vero problema?”
Lei, però, a differenza di molti di noi, ci ha provato nel suo piccolo, in un Paese di circa 5 milioni di abitanti, dove la battuta è che ci siano più pecore che non esseri umani.
Jacinda ha scelto fin da subito di concentrare la sua attività di deputata al Parlamento sulla famiglia, sulla natalità, sull’assistenza scolastica e sanitaria: “Abbiamo introdotto – ricorda – un assegno universale per i figli, aumentando considerevolmente i livelli di sussidio. Abbiamo esteso il congedo parentale retribuito a sei mesi, ampliato l’accesso ai sussidi per l’assistenza all’infanzia per quasi tutti i genitori single e garantito assistenza sanitaria primaria gratuita ai bambini fino ai 14 anni. Abbiamo inoltre fornito pasti scolastici gratuiti nelle zone socio-economiche svantaggiate, aumentato il salario minimo e introdotto prodotti per il ciclo mestruale in tutte le scuole. Tutto ciò ha contribuito ad un sostanziale calo della povertà infantile, mentre politiche come la gratuità del primo anno di istruzione post-secondaria e dell’apprendistato hanno contribuito al benessere generale delle comunità”.
Con questo pacchetto corposo e visionario di interventi legislativi, Jacinda Ardern ha aumentato il deficit e il debito pubblico ma ha convinto i suoi concittadini a pagare tutte le imposte, al 100%, per poter finanziare i servizi che si vedono, si utilizzano, si apprezzano.
L’ex Prima Ministra neozelandese sostiene che le persone hanno bisogno di quattro cose, avendo imparato questa lezione dal Primo Ministro neozelandese degli anni ’70 Norman Kirk: un tetto sopra la testa, cibo sulla tavola, vestiti da indossare e, soprattutto, qualcosa in cui sperare.
“Le persone sono costantemente alla ricerca di soluzioni per i propri problemi e di modi per soddisfare i propri bisogni. Cercano una luce, una speranza, la realizzazione delle proprie ambizioni”.
Per questo motivo ha scelto di investire come priorità sulle famiglie, sull’infanzia, per far diventare il suo Paese il posto migliore al mondo per crescere un bambino. Jacinta Ardern crede inoltre che
“Avere una rappresentanza equa tra uomini e donne nei ruoli di leadership, così come una retribuzione equa per entrambe i sessi, aiuti lo sviluppo e la qualità della vita in un Paese. Essere ambiziosi in questo modo implica stabilire obiettivi che si ritengono raggiungibili, anche se ciò richiederà tempo e impegno”.
Per impostare un programma di questo genere, bisogna assumersi dei rischi e mettersi in gioco.
E’ interessante il suo ragionamento su come vivere il successo e metabolizzare le sconfitte o il fallimento: un bilancio di cui è difficile trovare secondo lei un giusto equilibrio.
La sua ricetta, ambiziosa ma non supponente, si basa su un cocktail di valori da trasmettere ai nostri figli: “Valori come l’equità, la gentilezza, l’empatia, la curiosità e il coraggio. Forse è tempo di chiedere ai nostri leader di essere coraggiosi nel discutere delle sfide che dobbiamo affrontare. Ma senza diffondere la paura. Che promuovano i valori che favoriscono il rispetto delle differenze, che possiedano l’empatia necessaria per comprendere i punti di vista altrui e che cerchino una intesa anche nelle situazioni di divergenza. Che dimostrino curiosità e umiltà nel continuare a imparare, coraggio nel cambiare idea e l’ambizione di guidare anziché governare”.
Questo, ad avviso di Jacinda, è il modello di leadership del XXI secolo e può e deve essere seguito: “Voglio condividere i nostri errori per evitare che si ripetano, celebrare le nostre piccole vittorie affinché possano ispirare e soprattutto diffondere speranza. In fin dei conti tutti possiamo superare noi stessi, se è questo il tipo di guida che desideriamo”.
Ancora una volta, a mio parere, da quella lontana e sperduta isola dell’Oceania, ci arriva una lezione salutare di forza, coraggio, passione e senso di solidarietà umana.
Come quella che spinse australiani e neozelandesi a darci una mano risolutiva durante la tragedia delle due guerre mondiali del secolo scorso. Grazie Jacinda dell’ossigenazione sana e virtuosa.