Il Direttore de L’Incontro ha pubblicato questo contributo integrato da alcune riflessioni di Pickett
Nessun sistema elettorale è nemico della democrazia
Le recenti elezioni UK hanno riproposto un’annosa questione: un sistema elettorale può costituire un’offesa per la democrazia rappresentativa? La domanda si pone perché i laburisti, con il 33,69%, in pratica, un terzo dei voti, hanno ottenuto 412 seggi su 650, cioè una fortissima maggioranza assoluta. E c’è chi sottolinea che rispetto alle elezioni precedenti, nel 2019, la loro percentuale è aumentata in modo irrilevante (5 anni fa era stata pari al 32,2%), mentre i voti in termini assoluti sono addirittura scesi, di oltre mezzo milione, da 10.270.000 a 9.700.000.
Insomma, i laburisti, con una performance elettorale rimasta sostanzialmente stabile in 5 anni, hanno più che raddoppiato i seggi e sono passati da partito di minoranza (nel 2019 avevano conquistato 202 seggi) a dominatori del Parlamento. Si chiedono i contestatori del sistema elettorale (gran)britannico: ma che democrazia è quella nella quale un partito, che rappresenta solo un terzo degli elettori, pur non crescendo, raddoppia i seggi e ottiene una maggioranza straripante?
Anche il sistema elettorale transalpino (In Francia e in UK si è votato per il rinnovo del Parlamento nella stessa settimana) è stato oggetto di contestazioni in quanto il partito con più voti al primo turno è quasi fuori dai giochi. Si è anche fatto notare che il R. N, con il sistema monoturno UK avrebbe conquistato la grande maggioranza dei seggi, mentre i laburisti, con il doppio turno alla francese o con un sistema simil proporzionale non sarebbero divenuti i signori assoluti della Camera bassa di Sua Maestà. Insomma, il sistema elettorale falserebbe la volontà popolare o, almeno, avrebbe un peso incompatibile con i principi della democrazia rappresentativa.
Come i lettori sanno, difficilmente nei miei editoriali mi schiero, ma questa volta faccio un’eccezione. Non certo di natura politica, bensì tecnico-organizzativa: per me (salvo casi paradossali o iperbolici) nessun sistema elettorale rappresenta un vulnus per la democrazia. Certo, chi è al governo è tentato di apportare modifiche ai regolamenti nella speranza di trarne vantaggio. È tradizione inglese ritoccare i confini dei collegi in modo di favorire i candidati governativi.
In Italia una legge elettorale divenne addirittura nota con il nome di “Porcellum” perché pare che il suo stesso padre, Roberto Calderoli, avesse ammesso che era una porcata, concepita per dare una mano al Centrodestra. Però alla fine, chi deve vincere, in qualche modo vince. Ogni sistema ha pregi e difetti. Il proporzionale è forse il più rappresentativo, ma anche quello che più porta all’ingovernabilità. Il sistema inglese favorisce la stabilità, ma, come si è appena visto, può attribuire i due terzi dei seggi a chi ha un terzo dei voti.
La legge francese, a doppio turno, funziona bene in periodo di bipartitismo. Se i blocchi, come accade ora sono tre, R. N., macronisti e sinistra (o quattro, se contiamo i neogollisti/repubblicani che non si sono alleati con Jordan Bardellà), tra un turno e l’altro si scatenano accordi contro natura, totalmente estranei a logiche politiche. Basti ricordare che Emmanuel Macron, il giorno dopo avere spinto i suoi a un patto elettorale con la Sinistra, ha dichiarato, con umorismo involontario, che mai si alleerebbe con la France Insoumise, che della Gauche è il partito egemone.
Ma si tratta di distorsioni accettabili, che non ledono lo spirito democratico. A mio avviso, il vero pericolo per la democrazia è un altro. Ho letto in questi giorni articoli di autorevoli opinionisti sostenere che, qualunque siano gli esiti delle elezioni (europee, francesi, inglesi e così via) si può stare tranquilli, perché poi ci pensano i mercati a portare i vincitori a miti consigli. Ora “i mercati” è una formula eufemistica e rassicurante, per dire “i grandi gruppi finanziari che controllano, appunto, i mercati”. Insomma, il messaggio è: votate pure chi volete, tanto chiunque vinca, deve obbedire ai “padroni del vapore”. Il che, a pensarci bene, non sorprende, se si pensa ad esempio che Blackrock gestisce 10 mila miliardi di dollari, due volte e mezzo il Pil tedesco. Oltretutto questi colossi (o mostri) finanziari sono strettamente collegati tra loro: il maggior azionista istituzionale di Blackrock è Vanguard. E, a sua volta, il maggior azionista istituzionale di Vanguard è Blackrock.
Concludo su una notizia che a mio avviso supera i limiti del grottesco. Pare che se Biden dovesse ritirarsi, tra i più gettonati a sostituirlo nella corsa alla Presidenza ci sia Michelle LaVaughn Robinson. A differenza di Kamala Harris, che ha alle spalle una vicepresidenza e alcune importanti esperienze politiche, questa signora ha come unica qualifica quella di essere la moglie di un ex Presidente. Oltretutto, pur dichiarandosi femminista, si fa chiamare con il cognome del marito, Obama. Che, a differenza del suo, ignoto ai più, è celeberrimo e, almeno per mezza America, prestigioso.
Insomma, una via dinastica o a dir si voglia oligarchica per scegliere il Presidente della più grande democrazia del mondo. Certo, abbiamo avuto i precedenti di Isabelita Peron e di Imelda Marcos, ma non credevo che gli Stati Uniti potessero prendere in considerazione la via matrimoniale alla Presidenza. Questo per me sarebbe un vulnus alla democrazia, non certo quello apportato da una stortura di un regolamento elettorale.
Milo Goj
L’editoriale del Direttore mi sollecita alcune ulteriori riflessioni.
Non esiste una legge elettorale ideale, la migliore in assoluto.
In relazione agli obiettivi che si pone il Parlamento di ogni paese democratico e che quindi viene eletto dalla maggioranza degli elettori aventi diritto, lo stesso Parlamento sceglie la legge elettorale … o meglio dovrebbe scegliere la legge elettorale che meglio rappresenta la cultura, le tradizioni, la storia di un Paese, privilegiando alternativamente o anche in modo concorrente, la rappresentanza ovvero la stabilità ovvero l’efficienza decisionale.
In ogni caso, la legge elettorale prescelta non dovrebbe mai, come invece, spesso accade, essere pensata e scritta soltanto da una parte politica che la disciplina nell’ottica di proteggere l’auspicato successo del proprio partito o della propria coalizione.
Il Parlamento, dovrebbe con maggioranze qualificate, non per obbligo ma per opportunità e scelta politica, votare il modello di legge elettorale che meglio rappresenti l’obiettivo posto.
Nella nostra storia italiana del dopoguerra, abbiamo sperimentato fino agli anni ’90 i pregi e i difetti del sistema proporzionale: massima rappresentanza di tutti i partiti, delicati problemi di stabilità ed efficienza dell’esecutivo.
Dagli anni ’90, dopo Tangentopoli, abbiamo provato l’altro sistema, quello maggioritario, quello cioè meno rappresentativo ma che dà luogo a maggioranze ragionevolmente più stabili e più efficienti.
Sicuramente negli ultimi trent’anni abbiamo avuto un Paese governato da una politica bi-partitica e cioè un Centro Destra e un Centro Sinistra con tutte le altre sigle a rischio di estinzione o con l’obbligo di coalizzarsi.
Tutto ha funzionato più o meno bene fino a quando lo scenario politico non si è modificato facendo emergere una terza forza, il Movimento Cinque Stelle, che ha evidenziato tutte le criticità (proprio come sta succedendo in Francia) di un modello fondato sul maggioritario che però, al termine della consultazione elettorale, presenta tre forze politiche sostanzialmente alla pari, con tutte le conseguenti difficoltà di individuare una coalizione tra le tre forze dominanti.
Con il rischio, come abbiamo sperimentato anche nel nostro Paese, di governi che alternano alleati diversi con una delle tre forze che essendo l’ago della bilancia, rimane il perno della maggioranza governativa (i Cinque Stelle alleati prima con la lega e poi con il PD): i risultati non mi sembrano siano stati così eccitanti!
Credo, personalmente, che proprio alla luce di cosa è accaduto in Inghilterra e in Francia in quest’ultimo weekend (pensate che a leggi elettorali invertite probabilmente i Laburisti non avrebbero vinto e sicuramente Marine Le Pen avrebbe raggiunto il suo sogno di avere la maggioranza del Paese) il tema italiano non sia tanto quello del Premierato (per ora portato avanti con un testo di legge che presenta diverse criticità sia costituzionali sia proprio di efficienza del sistema) sia quella di studiare una legge elettorale che da un lato rappresenti in maniera adeguata la diversificazione storica e ideologica della cultura ed educazione di noi italiani e dall’altro valorizzi soprattutto le esperienze negative di tutti i vari modelli elettorali scelti nell’ultimo trentennio non nell’ottica di fare gli interessi del Paese, ma con l’obiettivo di fare gli interessi di un partito o di una coalizione.
Un’ultima considerazione comunque: un bel problema quello della legge elettorale, è vero! Però significa che la democrazia funziona, vive, permette a tutti anche nel dopo elezioni (pensiamo alle immagini stupende delle varie piazze di Parigi che rappresentavano le tre forze vincenti … o perdenti di questa anomala tornata elettorale, tutte festanti e tutte grate di poter esprimere le proprie diverse e a volte opposte opinioni) di esercitare il diritto di voto, di manifestare la propria opinione, di contestare dialetticamente le idee degli altri … dopo averle ascoltate, senza violenza, senza minacce, senza pressioni … soltanto con il confronto politico.
Non dimentichiamoci mai, nella complessità della nostra attualità, come sia molto meglio vivere le difficoltà di una democrazia come stiamo vedendo nella nostra zoppicante Europa che non la linearità, senza contrasti e senza discussioni delle autarchie come la Russia, la Corea del Nord, la Cina e l’Iran.
Godiamocela questa democrazia che non ci fa sicuramente invidiare la vita che conducono i russi, i coreani del nord, i cinesi e gli iraniani.
Probabilmente, come diceva Churchill, la democrazia non è il miglior sistema in assoluto … “ma non ne conosco uno migliore”.